mercoledì 7 dicembre 2011

Figlia mia…
Da quando ti ho messo al mondo se soltanto penso a  quanto mi sei costata in pannolini, minestrine, mortadella, scarpe, vestiti, iscrizioni alle palestre, abbigliamento sportivo, sciroppi per la tosse, scarpe da ginnastica "solonike”, vestiti, trucchi, capelli: corti  lunghi arancioni blu lisci e ricci.
Se ripenso a tutti i tuoi viaggi dai quali mi riportavi sempre una cazza di "ciotolainutile" e tutte le volte ti dicevo “che bella…grazie”
A tutte le volte che ti ammalavi e mi chiedevi di raccontarti la favola della “fata del bosco incantato” che io avevo inventato per te e che puntualmente non  ricordavo e cercavo di raccontarne un’altra ma tu mi dicevi che non era la stessa.
Se penso alle nostre corse in ospedale, dico nostre perché non solo io ho accompagnato te, ma, anche tu hai accompagnato me… bhè penso sempre a quella volta che siamo state 5 ore per fare una lastra alla tua caviglia inspiegabilmente gonfia…. Dopo mesi mi hai confessato che avevi dato un calcio all’armadio perché eri incazzata con me.
Se penso a tutte le volte che ci siamo abbracciate, scornate, baciate e sputazzate.
Se penso che a causa tua nella nostra famiglia è entrata Silvy e da lì è nata "la saga dei gatti."
Se penso a tutti gli indirizzi scolastici che hai cambiato dicendo che lo facevi per me … e invece io avrei voluto che tu facessi semplicemente “ geometra”.
Se penso a quando ti sei presa la varicella e ti ho contato le bolle… ne avevi  113.
Se penso a quante volte ti ho aspettato in finestra come se aspettare in finestra ti avesse fatto arrivare prima.
Se penso a quante volte mi hai fatto vedere Mila e Shiro ,Magica Magica Emi,I Puffi, Gli Snorky,
Memole dolce Memole, Holly & Benji, e quella gran rottura di palle di Kiss me Licia…. 
A quante volte abbiamo provato insieme la coreografia della Cuccarini e io ti dovevo tirare per una gamba.
Se penso a quando ti sei iscritta a “canto”  e siamo andate a fare la visita alle corde vocali e poi a “canto” non ci sei andata più… se penso che…

Se ripenso a quello che ho provato nel momento in cui ti ho vista … penso che sarei potuta anche morire quel momento perché sarebbe stato sufficiente a dare un senso … meraviglioso… alla mia vita.

lunedì 25 aprile 2011

Il mio primo libro

COME TE LO SPIEGO QUESTO DOLORE?










Presentazione
di Costantina Tabolacci

Come te lo spiego questo dolore” non è l’immersione languida in una storia d’amore tra due ragazzi, è piuttosto l’opportunità di vivere l’avvenimento d’amore “da dentro” tra Marta e Claudio col cuore di Claudio ed è l’opportunità di vivere “da dentro” l’avvenimento d’amore tra Marta e Claudio con  il cuore di Marta.
Si conoscono da giovanissimi alla fine degli anni '70, quando il mondo giovanile era percorso da ansie di rinnovamento, da sentimenti di apertura, di speranza nel futuro e da inquietudini esistenziali.
Certamente una bella storia d'amore, indagata in tutte le sue sfumature, ma non solo. Il testo tratta anche temi come l'amicizia, il sesso, la politica, la religione,  la disabilità, la musica...
Claudio è un ragazzo brillante, pieno di ogni slancio e coraggio di chi, giovanissimo, vive la vita come un progetto ancora tutto da realizzare. Purtroppo i suoi slanci sinceri vengono spesso bloccati da una sedia a rotelle che gli rivela in anticipo l’odiosità degli ostacoli della vita.
Incontra Marta, la guarda e capisce, con la rapidità propria solo delle cose vere, che saranno parte l’uno dell’altra, una verità lampante e tangibile… “Loro lo sapevano”.
Marta è una ragazza intelligente, sensibile, bella e di sani principi. Il suo futuro è già deciso, sarà al fianco di Andrea, é lui l’uomo con il quale camminerà per le strade della vita ma tutto questo finché non incontrerà gli occhi di Claudio. Da quell’incontro Marta in pochissimi giorni muta da crisalide a farfalla e superando mille conflittisi rende conto che tutto quello che voleva era camminare per le strade della vita con uno che non poteva camminare affatto.

Un evento tragico ed un equivoco sembrano allontanare i due protagonisti per sempre e far ritornare Marta alla sonnolenta tranquillità di un'esistenza borghese, già incanalata in una vita scandita dalla carriera lavorativa e dal matrimonio.
Ma non si può cancellare un sentimento unico, assoluto, totalizzante come quello che ha folgorato Marta e Claudio fin dal loro primo incontro.
La vita percorre itinerari strani e impensabili e alcune scelte si rivelano provvidenziali e fautrici del riavvicinamento finale dei due giovani.

E' la mia prima opera narrativa, nata dall'invito affettuoso di persone amiche che mi hanno incoraggiato e dalla presenza ingombrante nella mia mente dei due protagonisti che mi chiedevano di “essere raccontati".

venerdì 15 aprile 2011

Che banca!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Starò anche giù... ma questa ve la devo raccontare...
Era da dicembre che dovevo pagare un F23... ovviamente con tutti i casini che mi stanno capitando, me ne ero completamente dimenticata... allora ieri ho provato a pagarlo, tutto il giorno on line ma, mi diceva sempre che mancava un dato ... allora oggi ho preso coraggio me lo sono compilato dal sito dell'agenzia delle entrate l'ho stampato e sono andata alla posta per pagarlo; lì...OVVIAMENTE la posta era chiusa per lavori e quella che la sostituiva si trova a Ciampino, vicino all'aereoporto che, da casa mia, quando non c'è traffico sono dieci minuti ma quando il traffico c'è... è meglio tornarsene a casa.
Ho smadonnato un pò e poi mi è venuto in mente che a 500 metri dalla posta c'è una banca e allora ho deciso di andare a pagarlo in banca.
Sono arrivata, ho parcheggiato e stranamente c'erano almeno 20 parcheggi vuoti... "che c.lo" ho pensato:D
Ho spinto il pulsantino 2 o 3 volte perchè non mi si apriva la porta... quelle porte delle banche che ti intrappolano dentro tipo la TAC ... poi la porta si è aperta gli ho infilato il dito dove mi diceva la vocina metallica... insomma dopo che mi hanno fatto la risonanza magnetica  total body... la porta si è magicamente aperta.
Miracolo...non c'era nessuno... ma proprio nessuno nessuno... nemmeno gli impiegati...
Premessa... quando sono in casa anche se posso testare la temperatura uscendo in giardino, io sento sempre freddo, quindi ho indossato una camicia con un giacchettino ma poi sopra al tutto ho indossato il bomber ed ho pensato...."se poi ho caldo me lo tolgo"... torniamo alla banca...


Allora... quando ho visto che non c'erano nemmeno gli impiegati, con voce alta e simpatica ho detto:" faccio da solaaaaaa????"
Neanche un secondo dopo mi sono trovata davanti almeno 15 persone. Chi col panino in mano... chi con la boccetta dell'acqua e chi con il caffè.... uno non aveva nulla in mano ma aveva il viso di chi aveva appena visto un fantasma.... nessuno si avvicinava...mi si tenevano tutti lontana... quello senza niente in mano, bianco come un lenzuolo mi guardava la mano che tenevo in tasca al bomber... poi mi ha detto con voce tremante...." E lei da dove è entrata?":-O
Volevo rispondergli" Ahò... ma che per caso sei parente de 'na certa Erminia????? Ma che domande me fai?" Però ho soprasseduto ed ho risposto guardandoli tutti in faccia: "dalla porta"
"Quale porta?" fa lui.
"Scusi ma quante porte ci sono?... Da quella principale" ho risposto io.
"E cosa doveva fare?" dice lui.
"Dovrei pagare questo" e così dicendo ho tirato fuori la mano che avevo in tasca e con tutte e due  ho messo in bella mostra il mio bell' F23 già compilato :-D
Avete presente la "ola" quella che si fa allo stadio?... ecco, io non so dirvi precisamente cosa è accaduto a  tutti gli impiegati ma, quando ho tirato fuori la mano dalla tasca è stato come se un colpo di vento fosse passato sui capelli di tutti... un misterioso vento invisibile... insomma dopo 'sta passata de vento magico ...avevano tutti (pure quelli che non li avevano), i capelli a forma di "zucchero filato"....e lì ho capito.:D
"Ma che è chiuso"? ho domandato.
"Si signora.. è chiuso già da un pò" mi ha risposto l'unico tizio che aveva la voce.
"E come mai io sono entrata?"
"Ecco... proprio questo mi stavo chiedendo, ma lei è entrata normalmente????"
Volevo rispondergli... anzi mi è rimasto proprio sulla punta della lingua "No... sono passata attraverso il muro come Ghost... ha presente?"
Però sentivo già la puzza dei carabinieri sotto il naso e non avevo proprio nessuna voglia di passarmi un'ora lì a spiegare. Per cui  gli ho detto...:"Si sono passata normalmente, anche con la registrazione delle impronte... probabilmente non avete bloccato l'entrata".
Gliel'ho detto con fare molto materno e comprensivo...stavo già per scoppiare a ridere e  lui: "Signora le giuro che se la macchina non si bloccasse all'ora della chiusura della banca quell'F23 glielo farei pagare anche se siamo chiusi... purtroppo le macchine si bloccano da sole.. se torna più tardi a qualsiasi ora,  non le facciamo fare la fila... lei entra e paga".
"Ok a dopo" ho risposto e me ne sono andata...mentre uscivo mi hanno aperto le porte in automatico come quando passa "la regina" in mezzo al picchetto d'onore e ad ogni suo passo le lance si aprono a farle strada..:D.  nemmeno ho dovuto rinfilare il dito nel buchetto rosso....però come ho messo piede fuori ho sentito certi urlacci ma certi urlacci che venivano da dentro...e che ve lo dico a fare:-|... qualcuno si è preso un cazziatone di quelli col botto.;)
Siccome era tardi per la banca ma presto per tornare a casa sono andata "ai Girasoli"... un piccolo ristorante dove mangia tutti i giorni mio marito... sono entrata ho spiluccato qualcosa con lui raccontandogli l'accaduto.
Allora lui mi ha detto... "ora andiamo insieme in ufficio e vediamo se riesco a pagartelo io con un'altra banca sempre on line...." e così abbiamo fatto... siamo tornati in ufficio dove ho rivisto quei cari gran cornuti dei miei ex colleghi e mio marito si è connesso con un' altra sua banca ... ma questa prevede il pagamento dell'F24 e non del 23..."Lasciamo stare" gli ho detto "ora aspetto che riapre la banca e lo pago lì" e lui: "Io non capisco perchè non sei riuscita a pagarlo con la tua banca"
"Perchè mi dice che il codice è sbagliato e poi mi chiede un riferimento che non so" 
"Ora provo io" ha detto lui  "con la stessa banca tua" ( anche  lui ha il conto nella mia banca on line).
"Ma perchè... tu sei meglio di me?"
"Vabbè, proviamo... cosa ci costa?"
"vabbè proviamo... ma credi che io sia deficiente? Comunque se hai tempo da perdere proviamo"
Abbiamo provato... a me ieri diceva che mancava un codice lungo 17 cifre ... a lui oggi che il codice era errato.... LA STESSA BANCA EH?>:->>:->>:->
Allora lui ha tolto dal codice  "RM" che sta per Roma e il pagamento  E' ANDATO!!!!
Ora vado in bagno a tirare giù da Santa Ascella a San Zigulì....

giovedì 31 marzo 2011

Com'era pasqua............

Quanto era bello quanno da rigazzine er giorno de Pasqua era er giorno der vestito e delle scarpe nove.... der profumo delle pizze dorci.... della cioccolata che quer giorno te ne potevi magnà quanta te ne pareva... nun te strillava nissuno...e tu madre quer giorno a fatte la cipolla in testa ce metteva più cura e poi te ce 'nfilava n'fiore dello stesso colore der vestito. Pè mano a tu padre e a tu sorella te n'annavi a messa e poi ar ritorno a fà l'auguri a tutti li parenti che abitaveno ner vicinato. Tutti intorno a nà tavola 'mbandita co n' piatto de timballo che ce dovevi soffià sopra e n'pezzo d'abbacchio cò le patate ar forno.... sembrava er pranzo de li Re... me pare ancora de sentì er profumo.. e poi se magnava la colomba... io me fregavo sempre quella crosta de zucchero e mi madre faceva finta de nun vedè.....
Puro mò se magnamo l'abbacchio.... 'a colomba 'a cioccolata... ma a me me pare che nun ce sento più 'o stesso profumo.... me pare pure che quann'ero rigazzina .... a Pasqua ... ce volevamo più bene...............

martedì 1 marzo 2011

quando si rompe la lavatrice....

Quando si rompe la lavatrice.....
così come si è rotta la mia......
senza una ragione nè un motivo,
senza niente,
ti senti un nodo nella gola,
ti senti un buco nello stomaco,
ti senti un vuoto nella testa
e non capisci niente.

E non ti basta più un' amica
e non ti basta più distrarti
e non ti basta bere da ubriacarti
e non ti basta ormai più niente.
E in fondo pensi, ci sarà un motivo,
e cerchi a tutti i costi una ragione,
eppure non c'e' mai una ragione
perché una lavatrice debba rompersi.

E vorresti cambiarla subito,
e vorresti cambiare marca
e vorresti cambiare negoziante
e non trovi il numero dell'assistenza
e non trovi il documento della garanzia estesa..
ma sai perfettamente
che non ti servirebbe a niente
perché ci sono loro, perché ci sono loro,
perché ci sono loro,perché ci sono loro,

...perché ci sono i panni da lavare nelle tue ossa
perché ci sono i panni da lavare nella tua mente
perché ci sono i panni da lavare nella tua vita
e non potresti più mandarli via,
nemmeno se cambiassi marca
nemmeno se cambiassi negoziante
nemmeno se cambiassi assistenza
nemmeno se cambiassi garanzia
nemmeno se cambiasse il mondoooooooooooooooooooo.

Trudy il mio bastardissimo gatto!!!

Che giornataccia.
Sono tornata dalla palestra ed ho notato che il mio gatto più piccolo, Trudy,  che è da dicembre che sto curando per una polmonite, respirava più male del solito. Allora ho deciso. Cambio veterinario questo non mi convince più. L’ho agguantato e dopo una lotta furibonda l’ho infilato nel trasportino. Faccio un bel respiro  accompagnato da un lungo “OMMMMMMMMM” che non guasta mai ed  esco dal portone.
Nel trasportino Trudy combatteva una cruenta battaglia con lo sportelletto finché con una tremenda zampata non lo ha aperto. Insomma a farla breve… mi è scappato! Per fortuna avevo l’auto parcheggiata davanti al giardino dei miei vicini e che lui istintivamente si è infilato lì, che se mi andava in strada non lo so. Ho urlato dallo spavento e tutta la gente che stava sul sagrato della chiesa che è di fronte casa mia si è girata a guardare. A guardare me che come una deficiente stavo ferma indossando ancora l’outfit da palestra e cioè: la tuta stretta sotto, i pantaloni larghi fino al ginocchio sopra, scarpe da ginnastica, bomber, capelli acconciatura “Uragano in atto” e  calzini variopinti che guardavo ancora incredula nel trasportino.
“Ma che c’avete da guardà? State annà a cantà pè le nenie de Pasqua? Già m’avete rotto i timpani che ogni festa religiosa cominciate a scoccià tre mesi prima, e poi finito con la Pasqua ricominciate con le Comunioni e dopo le comunioni Natale è n’attimo. Annate a cantà invece de stavve a fà li fatti mia,”
Ho dato una “raddrizzata” alla postura, ho alzato un po’ la punta del naso come sentissi una puzza e con passo da leone meglio di Naomi Cambpell  sul red carpet sono rientrata nel portone.
Quando ho aperto la porta di casa il bastardello era seduto davanti alla porta finestra della sala e mi guardava, l’ho chiamato, ma ormai aveva capito l’antifona e non rientrava, allora sono andata in cucina, ho preso un petto di pollo dal frigo, l’ho avvicinato all’oblò della finestra gliel’ho sventolato davanti agli occhi e lui, ghiotto, è entrato. Gli ho tenuto il petto di pollo sotto il naso fino al corridoio ed una volta varcata la soglia, ho chiuso la porta.

E’ iniziata la guerra. Io che cercavo di prenderlo tenendo il petto di pollo in mano e lui che scappava: dietro le porte, sui letti, sotto i letti, sul tavolo, sotto al tavolo, nel bagno. Mentre eravamo in cucina ne ho approfittato per appoggiare il petto di pollo sulla macchina del gas nell’incarto dove avevo lasciato gli altri, e poi di corsa di nuovo in camera da letto, lui sotto , io sopra. Ho deciso di fare la guardia fino al momento in cui sarebbe uscito da sotto il letto. Come un vero guerriero ero lì appostata che aspettavo, un minuto due minuti, tre, quattro, sei, otto, alla fine mi sono distesa sul letto con la testa in giù per guardare sotto, che fine aveva fatto? Lui non c’era, io lo stavo aspettando e lui non c’era, dov’era?
Indovinate? In cucina a mangiare il petto di pollo.
Come l’ho visto ho chiuso di scatto la porta e l’ho agguantato. Una lotta all’ultimo respiro per infilarlo di nuovo nel trasportino, gli prendevo una zampa e lui si aggrappava con l’altra, alla fine ho vinto. Siamo partiti ed in macchina lui fungeva da stereo, “maaoooooooooooo…maooooooooooooo”.
Te lo do io maoooooooooooo, sudavo peggio che dopo un’ora sullo step.
Arriviamo dalla veterinaria, davanti a noi un cane ed un gatto. Lo lascio in macchina fino al nostro turno. La veterinaria lo visita e mentre lo visita gli dice “ma quanto sei dolce, ma sei proprio dolce” e lo bacia.
“ Aò che te baci? Il gatto è mio, tu fai il tuo mestiere e visitalo che a baciarlo ci penso io.
Morale della favola mi dice che il gatto non sta niente bene, le faccio vedere tutta la cura che gli stavo facendo e lei mi dice che non ne andava bene nemmeno una, non che fosse totalmente sbagliata ma che ci sono antibiotici e cortisonici più specifici per i gatti e che comunque lei non fa nulla se non faccio la lastra. Mi è preso un colpo. Mi sono dovuta sedere. “Se serve la lastra è veramente grave” Ho sentito le gambe che mi cedevano “Do…do…dove devo andare per fare questa lastra?” Le ho chiesto con la voce strozzata.
“Signora si calmi. Non faccia così. Comunque è abbastanza vicino, la clinica veterinaria sulla via Tuscolana, ora chiamo il collega”.
Nemmeno la macchina del tempo avrebbe fatto prima di me. Quando sono arrivata il veterinario mi ha guardato e mi ha detto: “Signora si calmi”
Quindi era proprio evidente che stavo per collassare?
Comunque mi hanno messo una “parannanza ed un collare di piombo” ed insieme abbiamo fatto la lastra senza fare l’anestesia, ero fiera di me.
Meno grave di come pensava la veterinaria, sì, la polmonite ha lasciato delle complicazioni ma non ci sono versamenti, il veterinario ha detto che in effetti la cura non era adatta ma in qualche modo aveva tamponato la malattia. Sono uscita dalla clinica dopo due ore, stravolta ma rassicurata.
Ho portato a casa la bestiaccia e sono di nuovo uscita per andare in farmacia. Insomma sono rientrata dopo mio marito, il quale appena varcata la soglia mi ha detto sorridendo: “Ciao, sei andata a farti l’ortopanoramica?” Ho visto sul tavolinetto una lastrina”

L’ho guardato. "L’ortopanoramica?"
Mi sono seduta sul divano ed ho pianto.

lunedì 28 febbraio 2011

Angilla

"Angilla" la chiamarono, chissà perché? Forse perché quella massa di capelli scompigliata ricordava lo zampillo di una fontana… perché “Angilla” sembrerebbe, che nel dialetto lucano, significhi proprio “fontana”… mah questo non so dirvelo.
Arrivarono una notte di mezza estate e si accamparono nel bosco lungo la riva del fiume che costeggiava il piccolo borgo. Rimasero due o tre giorni portando grosso scompiglio tra le duecento anime che davano vita al villaggio….
“Non sono zingari” diceva qualcuno
“Se non sono zingari sempre di quella razza lì si tratta” rispondeva qualcun altro
“Chiudiamo i bambini dentro e sorvegliamo le cantine ma soprattutto sorvegliamo i pollai e le vacche al pascolo.”
“Ma guarda cosa ci doveva capitare, speriamo ripartano in fretta così come sono arrivati… che agitazione”
“Ma che modo di vivere è quello? Dormire sotto una tela, viaggiano portandosi dietro pecore e galline”
La mattina che il capo borgo  decise di andarci a parlare rimase a bocca  aperta. Non c’erano più… di notte erano arrivati e di notte se ne erano andati… così… accampati nel bosco, senza scambiare nemmeno una parola con nessuno.
Giovanni (il capo borgo) sentì una felicità immensa invadergli lo stomaco, non lo aveva ammesso ma, andare a parlare con quella gente gli aveva procurato grande ansia… aveva paura… e forse aveva anche ragione.
Tutto tornò tranquillo nel vecchio borgo  i bambini tornarono a giocare all’aperto le donne non sorvegliavano più i pollai e gli uomini avevano ripreso la raccolta delle patate tranquillamente senza stare con gli occhi fissi sull’allevamento di vacche.
Solo dopo due giorni, spinta dai morsi della fame quel visino magro e scarnito con gli occhi grandi e verdi come le foglie del bosco e i capelli lunghi arruffati e neri come le notti senza luna, Angilla mosse i primi passi verso il borgo lasciando la tana nel bosco.
“Madonna del Soccorso  una bambina, hanno lasciato una bambina” gridavano le donne del borgo.
La guardavano  inebetite non sapendo che fare
“Ma quanti anni avrà? Sette… otto… non di più”
“Madonna aiutaci… ma l’avranno lasciata di proposito o se la sono dimenticata?”
“Bambina vieni qui, come ti chiami?”
Angilla non si muoveva di un millimetro, continuava a guardare quella gente con gli occhioni sgranati ma, non emetteva un suono e non si muoveva, magrissima, con una sacco di juta con i buchi per le braccia e per la testa senza scarpe ”
“Bambina hai fame?” disse Giovanna la moglie di Gioacchino mentre si avviò verso di lei.
Angilla emise un suono terribile, non si può chiamare “urlo” perché urlo non era, fu una sorta di ruggito che fece spaventare tutte le donne che velocemente fecero un passo indietro e anche lei fece un passo indietro.
Si era capito che Angilla non voleva essere avvicinata.
“E cos’è un animale?” disse qualcuno
“Una selvaggia” aggiunse qualcun altro
“Cosa si fa?” conclusero tutti.
“Allontaniamoci” disse Giovanna, poi rivolgendosi ad Angilla, con calma senza muovere troppo il corpo le disse: “Stai qui e aspettami, ora ti porto da mangiare”
Angilla la fissava negl’occhi ma non emetteva suono.
Giovanna per assicurarsi che lei comprendesse ripetè tutto aiutandosi con calmi gesti delle mani. Poi corse in casa prese una scodella e la riempì di una buona zuppa ci mise vicino due belle fette di pane e tornò fuori.
Angilla era rimasta lì non si era mossa, tra la prima e la seconda fila degli alberi che davano inizio al bosco.
Giovanna si avvicinò lentamente, da sola, quando le arrivò ad una decina di metri Angilla fece un passo indietro. Giovanna capì che il confine stabilito era quello.
Prese la scodella con la zuppa e l’appoggiò in terra e sopra ci mise le due fette di pane, poi con calma si allontanò.
Non succedeva nulla, Angilla rimaneva immobile come quella scodella posata in terra…. Ma la guardava, la guardava e le sue labbra avevano iniziato a tremare.
“Via, andiamo via” disse Giovanna” rientriamo in casa.”
Tutti obbedirono.
Giovanna da dietro la finestra guardava.
Angilla si guardò bene intorno poi lentamente si avvicinò a quel piatto e come un cane, senza nemmeno spostarlo da terra ci mise dentro la bocca ignorando il cucchiaio, In due minuti aveva mangiato tutto, comprese le due fette di pane. La scodella era lucida come appena lavata.
“Povera figlia” disse Giovanna e una lacrima  le rigò il viso. Subito prese un pezzo di pane, del salame  delle pesche e frettolosamente uscì di casa e traversò il piazzale ma, Angilla se ne era andata.
 La vide da lontano, più che altro vide  i suoi capelli arruffati che si muovevano tra i cespugli mentre si dirigeva all’interno del bosco verso il fiume.
Se ne rimase li a pensare a come poteva risolvere quel problema.
Si girò per tornarsene a casa quando si trovò davanti quasi tutte le donne del borgo.
Chi aveva portato una coperta, chi da mangiare, chi un vestitino vecchio, e chi sandali, insomma tutto il borgo si era mosso per quella creatura.
“Cosa facciamo?” disse Nina.
“Possiamo lasciarle tutto qui, magari torna e si prende queste cose, sarebbe più conveniente ospitarla in casa ma non si lascia nemmeno avvicinare” rispose Giovanna.
“Si” approvarono le altre “proviamo a lasciare le cose qui, la fame la farà tornare e troverà anche da vestirsi e da coprirsi…poi vedremo il da farsi.
Coprirono al meglio le cose da mangiare per non farci arrivare né cani né gatti e se ne tornarono alle loro case.
Il pomeriggio le donne del piccolo borgo continuarono i loro mestieri ma gli occhi erano sempre puntati li… tra la prima e la seconda fila degli alberi del bosco. Si fece buio ma di Angilla nemmeno l’ombra.
Gioacchino tornò a casa bussò alla porta per avvisare Giovanna del suo ritorno poi aprì la porta della stalla e fece entrare Bianchina, le versò acqua fresca e le mise un po’ di fieno nella mangiatoia.
Bianchina era una  bella vacca di razza, con il manto grigio che sembrava velluto e le corna bianche e lunghe, Gioacchino e Giovanna si erano privati di molto per poterla acquistare, l’avevano comprata che era ancora una vitella e l’avevano cresciuta e curata come fosse una figlia.
D’estate Gioacchino se la portava in campagna per farla pascolare e la sera se  la riportava a casa e la teneva ben custodita nella stalla.
In questo periodo poi Bianchina era tenuta nella bambagia…aspettava il suo primo vitellino.
Il giorno che Bianchina fu portata alla monta, Giovanna si commosse come se avesse portato la figlia all’altare e non aveva voluto assistere all’accoppiamento.
Era gravida Bianchina e tutti i pensieri erano per lei.. ma non quella sera… quella sera nella testa di Giovanna c’era soltanto Angilla.

“Ma ora cosa starà facendo quella creatura? Avrà fame? Magari avrà paura… dimmi Gioacchino, tu cosa pensi?”
Giovanna aveva messo la cena a tavola ma parlava al marito cercando una soluzione senza toccare cibo.
“Che ne so’ di queste faccende io” rispose Gioacchino “certo non è bene che una bambina rimanga da sola nel bosco, specialmente di notte, se le cose non cambiano in fretta, bisognerà avvertire chi di dovere “
“E cosa accadrà?” chiese allarmata Giovanna
“Non so cosa accadrà, ma non può rimanere da sola, prenderanno dei provvedimenti”
Giovanna andò a dormire con cattivi pensieri… dov’era Angilla ora? E se arrivava nella notte qualcuno e le faceva del male? Se avessero abusato di quel corpicino di femminuccia così piccolino? Ma dove si sarà sistemata per dormire?”
Non c’era verso, si girava e rigirava nel letto ma il cuore le batteva forte, non riusciva a stare nel letto.
Si alzò infilò il vestito e piano senza far rumore scivolò fuori della porta e si avviò verso il bosco.
Traversò di corsa il piazzale che la divideva dal bosco e con grande sorpresa si accorse che tra la prima e la seconda fila degli alberi, le cose che erano state portate per la bambina non c’erano più.
Per fortuna la luna quella notte era accesa e Giovanna camminava tra gli alberi senza doversi preoccupare di scivolare perché un pochino ci si vedeva.
Ma dov’era Angilla? Da che parte si sarebbe potuta dirigere?
Così pensando arrivò sulla riva del fiume i sassi sotto i suoi piedi fecero rumore e di colpo un testa piena di capelli arruffati uscì da una coperta dietro un grosso masso.
Angilla era già pronta a scappare.
“Ferma” le disse a voce bassa Giovanna accompagnando la voce con un gesto della mano, “aspetta, non andare via , non voglio farti del male, volevo solo rassicurarmi che stessi bene”
Angilla la guardava con quegli occhi così grandi, così verdi, ma, non dava modo di intendere se aveva capito quello che Giovanna le aveva detto. Rimaneva ferma in piedi con la coperta intorno alle spalle pronta a scattare, come un felino. Era talmente tesa che si percepiva il suo respiro soltanto perché muoveva leggermente le narici ogni volta che inspirava.
Non c’era verso di avvicinarla, questo Giovanna lo aveva capito ma, già si sentiva tranquilla a vederla lì. Non si sentì di lasciarla sola, si appoggiò  ad un sasso vicino a quello di Angilla e la guardò finchè la stanchezza non la fece addormentare.
Si svegliò che il buio stava lasciando il posto al nuovo giorno, ora poteva tornare a casa, la notte era passata, fece per alzarsi quando si accorse di avere una coperta strappata addosso. Angilla aveva diviso la sua coperta e mentre Giovanna dormiva con tanta delicatezza gliel’aveva adagiata sopra.
“Vado a prepararti una bella tazza di latte con pane e miele” disse ripiegando il pezzo di coperta e appoggiandola sul sasso, Angilla non si mosse di un millimetro ma Giovanna aveva capito che era sveglia e si avviò verso il borgo.

Rientrò in casa e preparò subito la tavola con il caffè il pane e il salame per la colazione di Gioacchino che da un momento all’altro si sarebbe svegliato, poi di fretta mise a scaldare il latte e spalmò di miele due belle fette di pane.
Non aspettò nemmeno che Gioacchino si alzasse… lo chiamò e quando fu sicura che lui era sveglio traversò svelta il piazzale e trovò tra la prima e la seconda fila degli alberi del bosco le scodelle ed i cucchiai del giorno precedente in terra, tutto ben ripulito.
Appoggiò la grossa ciotola di latte zuccherato e il piattino con il pane tra l’erba, prese “i vuoti” e tornò verso casa, prima di entrare si voltò e la vide, stava raccogliendo da terra le cose , non indossava più il sacco di juta ma si era infilata in maniera stravagante un vestitino bianco ed aveva anche calzato un paio di sandaletti che le stavano almeno due taglie più grandi ma,… meglio che a piedi nudi.
Si sentì risollevata Giovanna ed il marito se ne accorse subito.
“Allora? Novità?” chiese Gioacchino
“Sembra un pochino meno spaventata un pochino  meno aggressiva…ma proprio di poco eh?!  Speriamo che si lasci avvicinare, ora sta consumando la colazione che le ho preparato…mah… vediamo cosa accade oggi.
Gioacchino salutò la moglie con un bacio, si diresse alla stalla prese Bianchina ed insieme si avviarono nei campi.

Angilla sembrava una farfalla, magra e leggera, in quel vecchio vestitino bianco quasi trasparente indossato al contrario con la chiusura sul davanti.
Girava su se stessa e il vestitino faceva “la ruota” rideva da sola e continuava a girare…. Probabilmente non aveva mai avuto un vestito.
Stranamente gli animaletti che popolavano il bosco e la riva del fiume non erano affatto infastiditi dalla sua presenza… gli uccelli, le farfalle, e tutti gli insetti continuavano a svolgere il proprio lavoro come se non ci fosse alcuna presenza umana.
Giovanna mise in ordine la casa, lavò il bucato e lo stese, poi scese nella stalla e mise in ordine anche lì… Bianchina aveva  lasciato “i segni” del suo transito.
Si era fatta l’ora di pranzo e Giovanna preparò  per lei e per Angilla, le donne del borgo le avevano offerto una mano ma ormai lei si sentiva responsabile di quella creatura e... non avendo figli aveva piacere a rendersi utile come poteva.

Preparò un bel quarto di pollo con le patate e un piatto di zuppa… ci mise accanto le due solite grandi fette di pane e poi, dopo aver sistemato tutto su un grande vassoio di legno, usci di casa e traversò  il piazzale, lo fece con gli occhi puntati sulla zuppa attenta a far si che questa non fuoriuscisse dalla scodella e quando arrivò alla prima fila di alberi si accorse, con grande meraviglia, che Angilla era già lì ad aspettarla.
Giovanna dovette trattenere l’esplosione di una risata per paura di spaventarla, si limitò a ridere … piano ma le lacrime le uscivano dagli occhi per il divertimento. Angilla aveva indossato una mutandina collocandosela in testa e dai fori per le gambe aveva fatto fuoriuscire il cespuglio dei lunghi capelli… ora si che veramente sembrava una fontana con due zampilloni… uno di qua e uno di là. Le porse il vassoio e Angilla cautamente come un cane che ha paura ma che ha fame… facendo due passi avanti e uno in dietro si avvicinò a Giovanna e prese il vassoio dalle sue mani. Purtroppo quel vassoio di legno massello con tutte quelle cose sopra era troppo pesante per le sue gracili braccine e fu costretta ad appoggiarlo in terra.
Iniziò a mangiare la zuppa a modo suo senza usare il cucchiaio. Giovanna ne approfittò per tentare un contatto fisico… le iniziò ad accarezzare la testa… Angilla subito alzò lo sguardo verso di lei ma trovò un dolcissimo sorriso ed una bocca generosa che le diceva:” Questa non si mette in testa” e piano con tanta delicatezza le tolse la mutandina dal capo. 
Angilla finì di mangiare la zuppa in cinque minuti poi prese in mano il coscio del pollo ma Giovanna sempre sorridendo e con tanta delicatezza la fece alzare. Angilla la guardava come a dire:” Cosa vuoi?”
Giovanna prese la mutandina  poi prese un piede di Angilla e lo infilò nel primo buco poi fece la stessa cosa con l’altro piede e tirò su, dicendo:”Qui si mettono queste, non in testa… mi capisci?”
Lo sguardo di Angilla non rispose nulla, tantomeno la lingua però si alzò il vestitino e si guardò la pancia e le parti intime ben coperte e sicuramente capì  come andava indossato quell’indumento.
Tolse dal vassoio il piatto con il pollo e le patate, ci mise sopra le due fette di pane e se ne ritornò verso la riva del fiume.
Giovanna la osservò mentre con quelle gambette magre scendeva giù per il bosco e pensò se mai sarebbe riuscita a convincerla ad abitare con loro e a farsi amare…. Giovanna aveva tanto amore da dare.
Tornò a casa e riprese i ferri e la lana per continuare  la maglia che sarebbe servita a Gioacchino per l’inverno e sferruzzò tutto il pomeriggio insieme alle vicine di casa parlando di un solo argomento: ANGILLA
A ora di cena mise sui fornelli la zuppa di legumi a stiepidire ed il pollo a scaldare a poco di lì sarebbe tornato Gioacchino…. Intanto pensava cosa poteva dare per cena ad Angilla.
Prese del pane lo affettò ci stropicciò sopra dei bei pomodori rossi carnosi e saporiti poi condì il tutto con un buon olio di oliva e lo profumò con foglie di basilico, vicino ci mise un bel pezzo di formaggio e una grossa pesca già lavata.
Con il solito vassoio uscì dalla porta per attraversare il piazzale  ma a sorpresa si ritrovò davanti Angilla.
Tanta fu la felicità di Giovanna, rientrò in casa lasciando la porta aperta sicura che Angilla l’avrebbe seguita ma Angilla non si mosse di lì.
Giovanna dolcemente la invitò ad entrare ma Angilla rimase a guardarla.
“Dimmi qualcosa, ti prego, non riesco a capire cosa desideri… perché non entri?” Giovanna ce la mise tutta per farsi capire e con la voce e con i gesti.
Angilla aveva ben capito ma allungò un braccio e con il dito indice le indicò la porta della stalla.
“Vuoi andare lì?” le chiese
Angilla rimase con il braccio alzato e il dito che indicava la porta della stalla.
Giovanna aprì la porta della stalla e Angilla ci si infilò.
“Bhè…meglio nella stalla che sola nel bosco…se rimane starò più tranquilla” pensò Giovanna mentre portava il vassoio con le cibarie nella stalla.
In quel momento rientrò Gioacchino e si stupì di trovare la stalla aperta, entrò e con grande stupore trovò Giovanna che parlava ad Angilla mentre questa mangiava.
“Che storia è questa?” chiese Gioacchino.
“E che storia è questa?” Rispose Giovanna…”non immagini da solo?” e sorrise.
“Ma non può stare in una stalla”
“Nemmeno può stare da sola nel bosco, meglio nella stalla che sola lì”
“Ma perché non dentro casa?” continuò Gioacchino
“Un passo alla volta” rispose Giovanna” tempo al tempo”.
“Questa è una responsabilità” continuò Gioacchino “e poi sta per nascere il vitello, insomma come si fa?”
“Ti dico tempo al tempo qualcosa accadrà”
“Si si qualcosa accadrà”
E mentre i due bisticciavano amorevolmente e a voce bassa Angilla era salita su un covone di fieno e guardava negli occhi Bianchina, e dalle loro gole uscirono strani suoni, leggeri e delicati.
Poi Angilla scese dal covone e andò ad accarezzare l’enorme pancia di Bianchina e mentre lo faceva per la prima volta si videro i dentini di Angilla. Stava sorridendo.
Giovanna e Gioacchino rimasero stupefatti a guardare… se non fosse stato “impossibile” avrebbero detto che le due si erano parlate e che Bianchina aveva rivelato ad Angilla di avere un vitellino nella pancia.
Quella sera Giovanna fece compagnia a Gioacchino mentre custodiva Bianchina e chiusero la porta della stalla un minuto prima di andare a dormire. Angilla serena dormiva vicina a Bianchina su una balla di fieno.
Il mattino dopo, Giovanna andò insieme a Gioacchino ad aprire la stalla già con  la colazione pronta ma come aprirono la porta della stalla Angilla scappò fuori e corse verso il bosco, Giovanna posò il latte su una balla di fieno e le corse dietro.
Angilla era veloce ma Giovanna riuscì a non perderla d’occhio e quando le fu ad una trentina di metri si fermò perché Angilla si era fermata.
Come un gatto… Angilla scavò sotto il tronco di una quercia con le mani una piccola buca. Lì fece i suoi bisogni, poi si tolse la mutandina e i sandali e si lavò sulla riva del fiume.
Giovanna si sentì in imbarazzo per lei e con discrezione senza fare rumore se ne tornò a casa.
Dopo dieci minuti Angilla era davanti la porta della stalla, Giovanna la vide le disse con un gesto della mano di aspettare, le stiepidì il latte e le portò la colazione.
Bianchina non era nella stalla, come sempre aveva seguito Gioacchino nei campi e Angilla se ne tornò nel bosco.
Tornò a pranzo , Giovanna era felice di potersi prendere cura di quella bambina che il buon Dio non aveva voluto mandarle, era sicura che con il tempo sarebbe riuscita nel suo intento.
Mentre Angilla consumava il suo pasto stranamente tornò Gioacchino.
“Giovannna, Giovanna, presto, Giovanna”.
Angilla smise di mangiare e Giovanna uscì spaventata, non era mai capitato che Gioacchino tornasse all’ora di pranzo.
“Giovanna, corri prendi la bicicletta e vai a chiamare il veterinario, forse Bianchina sta per partorire”
Giovanna come un lampo salì in sella alla bicicletta e iniziò a pedalare , il veterinario abitava in campagna fuori dal borgo… la strada non era poca.
Bianchina stava malissimo, non riusciva a respirare, aveva gli occhi gonfi e non si teneva in piedi.
Angilla salì sulla balla di fieno e iniziò una conversazione fatta di mugolii strani.
Gioacchino era talmente agitato che nemmeno ci fece caso…. Si era messo a preparare fieno secco e stracci che sarebbero serviti per il parto della vacca.
Intanto Bianchina stremata si coricò a terra e Angilla non smetteva di accarezzarla.
Ora era agitata Angilla, le sue guance pallide si erano colorate di un rosso strano… quasi porpora, si potevano vedere le piccole vene e i capillari che le irroravano la pelle del viso, inoltre sudava e mentre accarezzava Bianchina non toglieva gli occhi dalla porta. Aspettava Giovanna.
Giovanna arrivò dopo pochi minuti ma Bianchina stava morendo e si vedeva, aveva la lingua fuori, tutta blu e gli occhi girati indietro e ormai respirava come se ogni respiro fosse l’ultimo.
“Tnlattngol” disse Angilla non appena vide Giovanna.
Giovanna si stupì di sentire la voce di Angilla ma Bianchina stava così male che non ebbe tempo nemmeno per fermarci sopra il pensiero.
“Tnlattngol” ripetè Angilla.
Il veterinario velocemente visitò Bianchina e decretò che non stava partorendo, la vacca stava morendo per qualche altro motivo, non c’era più tempo nemmeno di capire per quale motivo.
Angilla velocemente per farsi ascoltare salì sulla balla di fieno  più alta e urlò:”tenalttngol, tenalttngol, tenalttngol” urlava disperata e le lacrime le uscivano come un fiume in piena dagli occhi.
“Ma che dice?” esclamò il veterinario
“Non so” rispose Gioacchino.
Angilla scesce dal fieno e corse da Giovanna le prese le mani e piangendo disperata continuò a ripetere :”tnlattngol, TENALTTNGOL”
Giovanna la guardava e ripeteva insieme a lei … “tnlattngol… tnlattngol… tnlattngol”
Bianchina non respirava più, il veterinario non sapeva cosa fare e Gioacchino era disperato.
“Tnlattngol” ripetè Angilla a Giovanna e con la mano si diede degli schiaffi sulla gola
“Tiene una latta in gola” disse piano Giovanna e Angilla cadde in ginocchio.
“Ha qualcosa in gola” urlò Giovanna.
Prontamente il veterinario aprì la bocca, ormai stretta in una morsa, di Bianchina, Gioacchino la tenne aperta e ed il medico infilò tutto il braccio.
Quando lo ritirò fuori nella mano  aveva una lattina di carne in scatola arrugginita, lasciata probabilmente durante la recente guerra, da qualche militare americano.
Il veterinario fece subito due o tre punture alla povera bestia che dopo un’oretta iniziò a riprendersi e il mattino dopo fu fuori pericolo.
Avevano trascorso la nottata tutti nella stalla. Gioacchino vicino a Bianchina non aveva chiuso occhio, Giovanna aveva trascorso molto tempo a guardare Angilla chiedendosi che poteri avesse quella bambina da poter comunicare con gli animali…. Se non ci fosse stato il veterinario presente a testimoniare l’accaduto nessuno degli abitanti il borgo avrebbe mai creduto a quello che era successo.
Angilla aveva passato molto tempo ad accarezzare la pancia di Bianchina per accertarsi che il vitellino stesse bene e quando si accovacciò su una balla di fieno e si addormentò Giovanna e Gioacchino capirono che sicuramente il vitello era in vita e l’aveva scampata.
Le poche ore che mancavano all’alba le trascorsero tutti dormendo nella stalla insieme a Bianchina.
Giovanna fu la prima a svegliarsi e guardandosi intorno si accorse che Angilla era avvolta nel pezzo di coperta che aveva diviso con lei la notte sulla riva del fiume, se l’era portata nella stalla e lei non se ne era accorta.
La colazione era pronta, Angilla era corsa sulla riva del fiume per i suoi bisogni e per lavarsi, Gioacchino consumò il ricco piatto e poi partì per i campo.
Angilla tornò indossando un altro vestitino sempre bianco e vecchio ma con le bretelline e un giro di pizzo san gallo intorno al collo e alla gonna…era buffa con quei capelli sempre puliti ma sempre più arruffati. Giovanna l’aspettò e fecero colazione insieme…sole, loro due  nella stalla vicino a Bianchina.
Giovanna senza troppa convinzione di essere capita iniziò a parlarle, piano, lentamente, aiutandosi con gesti:
“Mi piacerebbe che tu rimanessi con noi, potremmo trattarti come una figlia, mandarti a scuola, potrei cucirti bei vestitini e quando ci sarà la fiera, all’inizio del mese prossimo, potremmo acquistarti dei bei sandaletti nuovi “
Angilla la guardava ma il suo sguardo non svelava nulla. Aveva capito o no? Avrebbe accettato o no?
Era ora di andare a sbrigare le faccende e a preoccuparsi per il pranzo e la cena… quel giorno c’era anche Bianchina da controllare e da governare.
Giovanna rientrò in casa e Angilla rimase alle sue conversazioni con Bianchina.
Il giorno dopo Giovanna andò ad aprire il suo prezioso baule della biancheria e scelse un grosso asciugamani di lino a trama fine tutto ricamato a mano e iniziò a pensare al taglio per poter cucire un bel vestitino nuovo per Angilla.
 Si armò di tutto l’occorrente per tagliare e cucire e si mise all’opera.
Angilla , dentro la stalla, si era fatta prendere le misure contenta perché aveva capito che quel bel telo di lino tutto ricamato sarebbe diventato un bel vestitino
La domenica successiva Angilla dopo essersi andata a lavare al fiume aveva accettato molto controvoglia di lasciarsi pettinare un po’ quella montagna di capelli.
Giovanna non era riuscita a completare l’opera perfettamente, i capelli erano ancora una grosso cespuglio ma, almeno ora avevano un senso ed ora al posto dello “zampillo” c’era una “quasi” riga in mezzo.
Finita l’opera di tolettatura Giovanna parlò come faceva sempre ad Angilla cercando di convincerla a seguirla in chiesa ma Angilla fece una smorfietta con la bocca e poi se ne scappò nel bosco.
“Piano piano ce la farò” pensò sorridendo Giovanna.

“Cosa dobbiamo fare con questa benedetta bambina?” disse Gioacchino a Giovanna mentre sottobraccio si avviavano verso la chiesa.
“Tempo… mi serve ancora un po’ di tempo, oggi parlerò con Padre Vincenzo e gli chiederò di intercedere con chi di dovere per poter adottare la bambina” rispose Giovanna
“Si, sono d’accordo, ma non può continuare a dormire nella stalla e passare la giornata nel bosco… la gente del borgo, anche se conosce tutta la storia, inizia a farmi domande a cui non riesco a dare una risposta… dobbiamo sbrigarci Giovanna, dobbiamo fare in fretta.”
Dopo la funzione Don Vincenzo li ascoltò, non diede nessuna certezza ma si impegnò a parlare con chi di dovere cercando di mettere tutte le “buone parole” che poteva affinchè Giovanna e Gioacchino potessero prendersi cura della bambin,a senza incorrere in denunce. Quella coppia così affiatata così amorevole e timorata di Dio meritava di avere un bambino… forse Dio gliel’aveva mandato sotto un’altra forma… un forma che si chiamava Angilla. Chissà….

Il pranzo della domenica era sempre un bel pranzo con un bel piatto di pasta all’uovo condita con il sugo, un un pezzo di pollo con le patate la frutta e una fetta di ciambellone fatto con  uova farina  zucchero e olio e sbattuto a lungo affinchè in cottura si gonfiasse e Giovanna era molto brava .. il suo ciambellone era il più gonfio del borgo.
Angilla consumò il pranzo della domenica nella stalla insieme a Bianchina  e quando ebbe finito lasciò i “vuoti” davanti la porta di casa di Giovanna e tornò nel bosco.

Passò un’altra settimana e le cose non cambiarono di molto, Giovanna era riuscita a districare ogni giorno un po’ di più quei lunghissimi riccioli ribelli ed era riuscita a farsi dare per una giornata “quel pezzo di coperta” da cui Angilla non si separava mai per poterla lavare bene con il sapone. Quando gliela riconsegnò Angilla l’annusò a lungo poi alla fine probabilmente ci sentì un profumo a lei familiare e sorrise.. il profumo della pelle di Giovanna?
“Angilla ecco il tuo vestitino nuovo” disse orgogliosa Giovanna. Angilla sbarrò gli occhi.. la gonna era larghissima e tutta ricamata, bianco come la neve  con una fascia in vita che si legava sul dietro a fiocco.
Sulla porta, nel piazzale, Angilla iniziò a togliersi tutto  per poterlo indossare subito…. Giovanna la prese per un braccio e a forza la portò in casa.
“Non ci si spoglia in mezzo alla strada” le disse con aria buia  “non si fa Angilla non si fa… come faccio a fartelo capire?”
Giovanna si alzò in piedi e si slacciò i primi quattro bottoni del vestito affinchè s’intravedesse la linea solcava i seni… poi si avvicinò alla porta di casa e prima di aprirla si rivolse verso Angilla , si riabbottonò il vestito ed uscì dalla porta.
Poi rientrò e chiese ad Angilla se aveva capito.
Angilla la guardò come faceva spesso con lo sguardo di chi ha capito tutto ma non ha capito nulla.
Allora Giovanna si alzò la gonna sino a scoprirsi tutte le cosce… poi si avvicinò alla porta e prima di uscire fece scendere le gonne fino a dove dovevano scendere e poi uscì di casa.
Rientrò e chiese di nuovo ad Angilla se aveva capito.
Angilla si alzò la gonna arrivò alla porta e prima di aprirla la lasciò ricadere sulle gambette .. poi uscì e subito rientrò…
Giovanna fece un applauso e spalancò un sorriso dicendole…”bravissima Angilla, brava, vedrai che piano piano riusciremo a capirci, ora devo andare in chiesa così parlo con Padre Vincenzo, vediamo se ha novità”
Angilla era felice per il nuovo vestitino che faceva una ruota grandissima ed era felice perché Giovanna era felice, si tolse le mutande e se le mise in testa… Giovanna sbarrò gli occhi  e la guardò fissa… Angilla alzò un braccio e seria seria , agitandolo,disse:”noooooooooooooooo” poi si tolse le mutande dalla testa e le rimise al suo posto.
Giovanna non aveva mai provato una felicità così grande nemmeno il giorno che si era unita in matrimonio con Gioacchino… il cuore le esplodeva, forse era peccato amare Angilla più di tutti ma non poteva farci niente e nemmeno l’avrebbe confessato a Padre Vincenzo.. se lo sarebbe tenuto per lei… Dio avrebbe compreso.
Gioacchino uscì dalla stanza da letto con il vestito e le scarpe della domenica pronto per andare a Messa trovò Giovanna che rideva con gli occhi pieni di lacrime e Angilla che scappò subito fuori, fece tre giri su se stessa per far ruotare la gonna poi con il solito pezzo di coperta in mano corse verso il bosco che l’avrebbe portata al fiume.

Padre Vincenzo dopo la Messa chiamò Giovanna e Gioacchino e comunicò loro che proprio il giorno prima era riuscito a parlare con il maresciallo dei Carabinieri. Gli aveva raccontato tutta la storia e questi gli aveva promesso che avrebbe parlato lui con la Madre Superiora del convento della città dove si trovava anche l’orfanotrofio ed era quasi sicuro che avrebbe accettato la richiesta dei due.
Tornarono a casa felici come non mai… presto, prendersi cura di Angilla, almeno legalmente, non sarebbe stato più un problema … il resto sarebbe venuto da sé… piano piano…
Il “NO” forte e chiaro  di quella mattina le aveva riempito il cuore di speranza…. Angilla sarebbe diventata una bambina come tutte le altre, anzi, “più” delle altre..
Dopo aver consumato il pranzo nella stalla, attenta a non sporcarsi, Angilla accarezzò Bianchina poi uscì nel piazzale e vide ad una trentina di metri un gruppo di bambini che avevano  più o meno la sua stessa età, la guardavano sempre incuriositi, avrebbero voluto parlarle… magari anche giocare con lei ma, Angilla non si era mai lasciata avvicinare e anche quel giorno fu  così ma prima di correre verso il bosco fece un giro veloce su se stessa per far vedere che bella ruota faceva il suo vestitino.
Dopo aver consumato il pranzo Gioacchino si avvicinò a Giovanna, le accarezzò le spalle e i capelli poi le disse: "Andiamo a riposare un po’?”
Giovanna sorrise conosceva bene suo marito e sapeva cosa intendeva per “riposare” e quel giorno “riposarono” come non facevano più da molto tempo.
Fecero l’amore con il sorriso stampato sul viso, lo fecero con gioia, con la mente libera godendosi in maniera “assoluta” quel momento.
Fecero l’amore senza quel tarlo nel cervello che diceva: “un bambino…. Perché non arriva un bambino?”
Alla fine si addormentarono così, uno nelle braccia dell’altro coperti soltanto da un lenzuolo, dormivano in grazia di Dio, godendosi quel po’ di fresco che porta il primo arrivar della sera dell’estate.
Furono svegliati da un trambusto che proveniva dalla stalla.
Si alzarono velocemente, si vestirono e scesero di corsa.
Angilla era già arrivata e aspettava loro per poter entrare.
Bianchina era agitata, non riusciva a stare ferma, sembrava non trovare una posizione.
Angilla le si avvicinò, salì su una balla di fieno e sembrò di nuovo dirsi qualcosa con la vacca.
Sorrise Angilla , e sorridendo scese dalla balla e andò ad accarezzare il pancione di Bianchina.
Gioacchino e Giovanna capirono che era iniziato il travaglio… di li a qualche ora avrebbe visto la luce il nuovo vitellino.
Dopo un po’ arrivò anche il veterinario e tutti erano intorno alla vacca che ormai aveva i dolori e ogni tanto muggiva.
Angilla non schiodava di lì  e continuava ad accarezzare la pancia di Bianchina ma quando vide uscire le zampette sporche di sangue del vitellino, sbarrò gli occhi e fu in quel momento che Giovanna prese la bambina e la portò fuori dicendole… “aspetta qui…tra poco sarà tutto finito”
Angilla non si rifiutò di restare fuori ma indicò con un dito il vecchio pezzo di coperta che era rimasto vicino a Bianchina.
Giovanna entrò, lo prese , glielo portò ed accostò la porta.
Ormai era notte fonda, il tutto durò una quarantina di minuti. Ma furono quaranta minuti di agitazione. Bianchina muggiva forte, soffriva molto, il veterinario e Gioacchino erano quasi decisi a legare le zampette del vitellino con una corda e a tirare, quando con due fortissime spinte Bianchina partorì il suo vitellino… anzi a dire il vero era una vitellina e Gioacchino fu felicissimo perché l’anno sucessivo invece di un vitello ne sarebbero nati due.
Chi pensava a Bianchina, chi ad asciugare la vitellina nessuno aveva sentito nulla, solo Angilla, seduta sul gradino davanti alla stalla aveva sentito.
Da lontano, oltre il bosco, lungo la riva del fiume, suono di armoniche a bocca e di tamburelli. Erano arrivati di notte si erano accampati ed avevano acceso un fuoco per cuocere le carni dei polli che si portavano dietro.
Quasi senza accorgersene Angilla li aveva raggiunti, seguendo ad orecchio quel suono ipnotizzante di tamburi e armoniche.
Ormai il vitellino era in piedi e la mamma bella ripulita, Angilla poteva rientrare.
Giovanna pensò che avrebbe trovato Angilla addormentata sullo scalino, ormai era giorno, non poteva aver resistito  tanto al sonno.
Ma Angilla non c’era. Giovanna pensò che sicuramente era andata al fiume a lavarsi e così rientrò in casa a preparare del buon caffè e la colazione per tutti.
Finita la colazione era ormai mattina tardi e Giovanna era preoccupata.
 Angilla non aveva mai mancato un appuntamento.
“Vado a cercarla” disse al marito “ tu continua ad occuparti della vitella” traversò il piazzale e si infilò nel bosco.
Gioacchino sul primo momento non disse nulla e rimase con il veterinario ma neanche due minuti dopo sentì qualcosa dentro che lo spinse a seguire la moglie.
Il veterinario seguì Gioacchino incuriosito più che altro dalla vita che conduceva quella bambina e da dove trascorreva le sue giornate.
Erano a metà strada quando un urlo disumano riecheggiò in tutto il bosco.
Gioacchino iniziò a correre ed il veterinario dietro graffiandosi con i rami degli alberi fitti
La scena che li aspettava fu la più cruenta che mai si erano trovati davanti nella loro vita.
Angilla era distesa tra i sassi. Le gambe e il viso sporchi di sangue. Aveva un buco grandissimo proprio sull’orecchio probabilmente causato da una sasso a punta.  Qualche metro prima, dove giaceva svenuta Giovanna, il vestitino di pizzo bianco ormai intriso di sangue e fango.
Gioacchino prese tra le braccia Giovanna cercando di farla tornare in sé ma mentre lo faceva iniziò a piangere ed a urlare . Non si era mai reso conto di quanto ormai amasse quella bambina e poi... quelle cose non sono nel mondo di Dio … non si fanno.. non è possibile…”
Furono anche le parole del veterinario che constatò la morte della bimba.
Giovanna riaprì gli occhi ma non parlò… non emise nessun suono, gli occhi fissi su quel pezzo di coperta con cui la piccola Angilla in quei pochi secondi di coscienza che le erano rimasti prima di morire, aveva cercato di coprire le sue minuscole nudità.
Tutto il borgo era lì, intorno a Giovanna e al corpicino di Angilla.

Furono giorni orrendi, inenarrabili, infiniti come infinto era il dolore di Giovanna che non riusciva a placare il dolore e a  dare una risposta a tanta crudeltà.
Soltanto un paio di mesi dopo  scoprì che quella bambina le aveva lasciato un regalo che aveva del miracoloso.
Una nuova Angilla aveva iniziato a far battere il  cuore nel suo grembo.